Fu come un fulmine a ciel sereno, me ne accorsi
soltanto quando vidi tutte quelle persone, erano lì intorno a me e piangevano,
le loro lacrime si nascondevano con le gocce di pioggia, incessante proprio
quella sera. Non capii subito, ci misi
un po’ per realizzare che quel corpo sulla strada ero il mio. Che orrore, come
era accaduto? Eppure stava lì fermo, immerso in una pozza di sangue che
sembrava una piscina scintillante con tutta la pioggia che scendeva giù. Non
riuscivo a raccapezzarmi, mi guardavo e non riuscivo a crederci, pensavo fosse un brutto sogno e prima o poi l’avrei
dimenticato e tutto, sarebbe tornato così come era. Ma la mia figura, vista
dall’alto diventava sempre più sfuocata e il tempo, non era più il tempo per
pensare. Velocemente, mi si ripresentavano le immagini del mio vissuto, i volti
dei cari nelle espressioni dolci, episodi d’infanzia ormai remoti, vivi come
fossero accaduti in quel momento. La dimensione perdeva consistenza ormai, non
c’era prospettiva tutto era distorto e incredibilmente pacato ma un pensiero
repentino mi legava ancora a questa terra da un filo sottile indistruttibile, quello
della voce di mia madre. Non potevo infliggerle questo dolore inaspettato. Improvvisamente,
tutti quegli strani effetti svanirono, percepivo il verso della vita.
19
Gennaio 2014 Salvatore © Brigante
In generale non amo particolarmente la forma narrativa in cui è scritto questo racconto, qui però ho apprezzato molto l'idea di base, per cui il verso della vita per essere percepito, necessiti di posizione esterna ad essa.
RispondiEliminaGrazie del passaggio Sauro Nieddu.
RispondiEliminaA presto
Salvatore